All you can meet

Un bollente huo guo, in bilico tra uton nipponici e jus francese, attraversa la Cina e arriva in Italia. Non è un itinerario della gastronomia cinese, ma è la storia di Chang Liu. Un ragazzo che nasce in Cina ma vive, mangia, e studia l’Italia non appena maggiorenne. Lo chef di Yangzhou nel 2018 apre Serica (Mi) per farsi carico di un’immensa responsabilità: depennare la nomea unta e bisunta del ristorante cinese, acquisita senza scrupoli dall’immaginario comune, che non ha saputo vedere la grandezza di una cultura antica e preziosa tanto come quella dello Stivale. Ma Cina e Italia sono forse figlie di culture cresciute su due bacini limitrofi? Probabilmente sì, almeno sul versante gastronomico. Chang sente quest’alchimia già durante l’esperienza a Hell’s Kitchen, disseminata tra i rimproveri di Carlo Cracco e i sabotaggi degli altri concorrenti. Ai tempi, Liu manca la pole position, ma si aggiudica il quarto posto in classifica e sicuramente il primo nel cuore di Cracco “Chang è un mito: mi immagino un italiano in Cina a fare un programma del genere. Capisco lo sforzo per rimanere a Hell’s Kitchen”. E Liu passa dai gironi dell’inferno all’acqua santa della San Pellegrino Young Chef 2016, dove vince la finale di Shanghai con il signature dish che gli permette di rappresentare la Cina alla tappa mondiale di Milano. Esperienze italiane, e umane, che gli trasmettono il carattere degli ingredienti locali, che congiunti a quelli orientali firmano il Chang Style

A differenza del maestro Tokujoshy, che applica le tecniche native al prodotto italiano contaminando i due mondi, lui impiatta una cucina autobiografica, partorita dopo l’esilio francese, l’interscambio giapponese e l’esperienza italiana. Entra in un vortice di tecniche miste: deglassa con caramello un fondo di piccione rosolato con un Brunello di Montalcino, accosta un caco conservato alla cinese – sotto 0°C – a un sambuco sott’aceto, e porta in Italia il suo huo guo. “Suo”, perché trittico unico di culture del proprio vissuto culinario, conosciuto nel suo ristorante come “Wagyu Hot Pot”: si tratta di un ritrovo gastronomico tra il consommé preparato con Daniel Bouludi lenzuoli di wagyu stesi con Tokuyoshi e il huo guo, antica fondue cinese. Non è l’unico piatto ad attraversare il traffico di Serica, un ingorgo che affianca usi cinesi a costumi italiani sfatando ogni leggenda. Come quella del riso alla cantonese, che in Cina non si è mai sentito ma che in Italia accontenta i palati della cara penisola. È a lei che Chang presenta anche Fusorario, un appuntamento che allinea le ore 8 di Pechino alle nostre 20.00, con un teletrasporto che affianca il pane fritto a un assaggio di caponata e pesto, a rappresentanza delle colazioni cinesi e delle cene italiane. 

La sua cucina è un perenne incontro mistico intercalato da inaspettati scorci locali. Uno fra tutti, Panorama di Zhangye che, attenzione, rischia di provocare un’istantanea sindrome di Stendhal. È un ritratto profumato delle colline policrome cinesi, immerse tra veli di wagyu accostati a punte di asparagi e spezie colorate. E se questo presente ha un gusto affascinante, il futuro sa di conoscenza. Chang, vuole svelare l’antica Cina ma anche la nuova, che sta cambiando rotta per assolvere il suo yin ed elevare il suo yang, traducendo trucide usanze cinesi in innocenti evoluzioni. Ne è un esempio lo spaghetto di soia colato in un brodo di zafferano, cappone, parmigiano e prosciutto di Parma, che replica senza genocidi le fattezze di una zuppa di squalo. Dunque, la tradizione rinasce, e ritorna, senza ripetere errori ed eccedendo in meraviglia.

Ma non c’è pericolo, alla bellezza non ci si abitua mai. 

Tratto da ItaliaSquisita.comChang Liu – IS n°34
Foto di: Tommaso Lisca e Alfonso Bonvini

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