Rocco De Santis

Reti ingorde nel golfo di Sorrento, pelle stracciata dal sole e giacca che sa di sale. Pochi appunti che Rocco De Santis pesca dal suo mare e ormeggia al ristorante Sant’Elisabetta di Firenze, per tramandare la sua origine ai palati che si affacciano in sala. Sette tavoli di un salotto romantico su cui Rocco scolpisce il territorio gastronomico con la sua filosofia partenopea, di casa ma vestita a festa, partorita lo scorso millennio dopo il primo incontro con Gennaro Esposito: è da questo vulcano che fuoriesce la folgorazione di Rocco, una cucina che da passatempo si fa passione, che riesce a sfogare nel Ristorante Torre del Saracino al fianco del maestro. Con lui mette le prime marce, ingrana la quarta e devia verso il Ristorante Eden, nel cuore della capitale insieme a Enrico Derflingher. Fino a quando le chimere incantevoli, decantate dai colleghi tornati dalla Francia, lo portano a scandagliare l’alta cucina francese del Georges Blanc tristellato: un’esperienza nei borghi di Lione, dove contempla il sacrificio in attesa che sfoci in una ricompensa oltre le Alpi svizzere. Ed è proprio in terra neutrale, al Domaine De Chateauxvieux con Philippe Chevrier, che lima la tecnica con una disciplina militaresca, prima di inaugurarla a casa. Un battesimo che fa a Verona, con Luca Mazzola, e che prosegue cerimonioso al Rossellini’s di Pino Lavarra, fino ad arrivare a Napoli a Il Comandante di Andrea Aprea. Ma Rocco non si ferma mai, marcia su e giù per lo Stivale, ritorna dal maestro Esposito e poi si sposta a Latina, al Vistamare, per raccogliere la prima stella che riconferma al Sant’Elisabetta di Firenze con la sua Michelin 2020. Nella tavola di questa vertiginosa torre fiorentina, racconta il peregrinaggio della sua origine campana, che oggi fa sosta in questo piccolo paradiso dantesco. È qui che De Santis tende un filo tra il ricordo del suo golfo e il presente toscano, ritrovando una cucina di pancia e non di cervello, dove il pesce riesce sempre ad avere la meglio sugli altri contendenti del menu. Un mare che seduce i palati e allevia l’umore di Rocco che “Quando torno a casa, prima passo dal litorale per vedere l’orizzonte blu. Devo.”

È il mare che solleva il suo umore e lo riporta a casa in un battito di ciglia, in un volo che atterra nel Gambero alla mediterranea marinato con una soluzione di succo di agrumi e tosazu, servito con una panzanella “double”: una doppia dadolata che accoppia una versione degli stessi elementi, cotta in agrodolce e cruda. Una freschezza che frena in un retrogusto lento. Ma quando Rocco chiude gli occhi, il viaggio continua e sbarca nei pescherecci di Salerno, quelli che trattengono l’agitazione di piccoli pesci azzurri e manciate di seppioline.

Sono quest’ultime che ricorda nel suo Bottone di pasta cotta: un raviolo di acqua, latte e farina che, dopo essere stato cotto e farcito con provola affumicata, prosegue in una seconda cottura prima di svoltare nel piatto, servito “quasi in zimino” con seppioline appena scottate e purea di bietola verde.  Lo chef Andrea Aprea gli disse un giorno: non c’è innovazione senza tradizione. Già, quella di casa, che Rocco mette a fuoco con un nuovo obiettivo: il ricordo. Così cattura il suo Piccione, con un primo piano sul frutto della sua infanzia, un tempo tradizione e oggi innovazione restituita in un gel di mela annurca, servito con crema di pastinaca e cavolo nero toscano.

E l’innovazione straripa nella cottura. Lo chef mimetizza le tappe del suo vissuto in questo piatto, coinvolgendo le tecniche nipponiche come mezzo e non come fine: infatti per arrostire il piccione usa il shichirin giapponese, un barbecue che imprime nei muscoletti carnosi l’aroma naturale del legno. Una cottura incandescente che rispecchia l’animo di Rocco, spesso e volentieri contenuto da Fabio Tilla, l’acqua santa che attenua i suoi bollenti spiriti, oltre che il sous chef del Sant’Elisabetta. I due, complementari perché opposti, trovano insieme l’ago della bilancia in cucina, caricata dai dessert di Francesca Benedettelli e dai primi di Matteo Morini e servita in punta di piedi da Alessandro Fé, alter ego dello chef in sala. Ma in cucina sono in 14, perché a Rocco serve un team muscoloso per scolpire i suoi pensieri nella materia, per spegnere la mente e accendere i ricordi, quelli che liberano il suo passato e innescano il nostro palato. 

Tratto da ItaliaSquisita.com